« Tavola Strozzi »

con raffronti visivi alle Piante Lafréry e Stopendaal 

Sì, la Tavola Strozzi è un piccolo grande «monumento» della Storia medievale della Città di Napoli, rinvenuta agli inizi del nostro secolo nel Palazzo Strozzi di Firenze, è il punto di partenza della storia del vedutismo napoletano ed una testimonianza preziosa dell’aspetto della capitale del Regno in età aragonese, ritratta nel momento di passaggio tra Medioevo ed Età moderna.

La Tavola precede le uniche piante che, secondo me, chiariscono l'eccezionale sviluppo urbanistico avvenuto durante il Regno e il Vice-Regno aragonesi.

Le suddette tavole, di cui si tratterà in apposita altra nota sono di facile comprensione e di difficile realizzazione proprio per renderle comprensibili e divertenti al massimo.. Si potranno individuare, perché posti in giusto risalto, manufatti civili, militari e religiosi, nonché strade, piazze e fontane di tutta la città aragonese, compresa cioè fra le mura aragonesi. 

Ma torniamo alla Tavola Strozzi.

La città “piccola e leggiadra”, per usare le parole di Benedetto Croce, che per primo illustrò il dipinto ai napoletani, ci appare cinta di verdi colline e dominata dall’alte sagome delle chiese angioine, tutte distinguibili, da S. Chiara a S. Lorenzo al Duomo. Accanto alla città sacra è presente con eccezionale rilievo una città munita, con i suoi castelli, le torri, mura, tutti imbandierati con le insegne del Re. Soggetto della raffigurazione non è infatti Napoli, ma il rientro trionfale della flotta di Ferrante d'Aragona, dopo la vittoria sul pretendente angioino nella battaglia che si era svolta al largo di Ischia. “Tutti i capitani che condussero navi e presero parte al combattimento ci passano innanzi come nel trionfo navale del 12 luglio 1465” ed è possibile riconoscerli uno per uno dalle insegne araldiche. (notasi le navi trainate con le bandiere ammainate: sono quelle catturate)

All’estremità occidentale sorge Castel dell’Ovo, documentato dal 1128, costruito sull’isolotto di Megaride. Vediamo un grande arco sotto cui passava il mare e che collegava tra loro le parti del castello saldamente costruite sulle rocce. Oltre la funzione difensiva esso mantenne in età normanna, sveva ed angioina il ruolo di reggia. Da documenti del primo quarto del XIV secolo conosciamo i nomi delle numerose torri: le due Maestre e quelle di Colleville, di Mezzo e Normandia. Altre furono aggiunte in età aragonese, ma tutto il castello, danneggiato nell’assedio del 1503, fu trasformato in età vicereale per adattarlo ai nuovi meccanismi difensivi.

Bellissima, integra è la torre di S. Vincenzo, tutta sola sul mare col suo rivellino cinto di mura merlate, e le tre torricelle sulla base”. Si distinguono i mattoni e il piperno con cui è costruita. De Seta (1988: 106) inoltre segnala che “la base cilindrica col torrioncino in evidenza non è di piperno, ma è la fedele rap-presentazione miniaturistica delle lamine di piombo poste alla base della torre intorno al 1450.

Ai suoi piedi: la chiesetta di S. Vincenzo; sulla riva, il parco “nell’area compresa fra il fossato antico del castello, la costa del mare tutto circondato di mura”; sullo sfondo, nel verde del futuro Largo di Palazzo, le chiese angioine di S. Croce e di S. Luigi; sul monte Echia è il castelletto con le bandiere del Re.

Castel Nuovo, simbolo della potenza regia, è riconoscibile in ogni sua parte, ma al proposito è bene ricordare che i restauri sono stati anche orientati da ciò che si vede nella Tavola. A sinistra presso i giardini reali, sono la Torre dell’Oro, che spicca per il colore del tufo con cui è costruita, e parte della Torre di Guardia; in primo piano sono la Torre di Mare, costruita tra il 1451 e il 1455, con le logge, dette ’la Glorietta’ (già crollate nel 1496) e la piatta parete absidale della Cappella Palatina, unico resto angioino, stretta tra due torri scalari. Segue l’alta parete della Sala dei Baroni, dietro la quale s’intravede il campanile della Cappella, rifatto in età barocca e demolito nel corso dei restauri. Tra la Cappella e la Torre del Beverello è un passaggio pensile retto da mensoloni; dopo la Torre del Beverello vediamo di scorcio la cortina verso la città e la Torre di San Giorgio.

In questo particolare della Tavola Strozzi vediamo il tratto di città compreso tra il nucleo antico e la Reggia di Castel Nuovo. Sul mare sono le mura merlate della città e dell’Arsenale angioino con le sue torri di difesa. Sulla sinistra, quasi al centro, due vòlte estradossate di una costruzione che si è voluta identificare con la chiesa di S. Maria Incoronata fatta costruire da Giovanna I in memoria dell’inco-ronazione sua e del secondo marito Luigi di Taranto.

In alto al centro, spicca nel verde della collina, su cui verranno edificati i Quartieri Spagnoli e tutte le altre costruzioni a monte di via Toledo, una chiesa con facciata gotica, un campanile e – addossata – una cappella rinascimentale a pianta quadrata coperta a cupola. Nella costruzione si deve identificare con ogni evidenza la chiesa di Monteoliveto, iniziata nel 1411, con la cappella Tolosa, ancora priva della nuova facciata con l’arco ribassato stretto fra le cappelle Piccolomini e Mastrogiudice.

A destra emerge altissimo su tutte le altre costruzioni il campanile di Santa Maria la Nova, una delle grandi fondazioni francescane di Napoli, iniziata nel 1279 dopo la demolizione, nell ‘ambito dei lavori per la costruzione di Castel Nuovo, di un ‘altra chiesa dedicata alla Madonna.

A destra del Castello” si vede un primo minore antemurale.

Un recinto di basse mura merlate lo circonda; mediante una porta sul davanti esso comunica col molo, per un’altra porta verso la collina comunica col Largo delle Corregge, ed a sinistra, mediante un piccolo ponte in salita (sotto al quale passa il fossato della cittadella) è congiunto alla porta della cittadella stessa; porta che, rifatta poi da re Federico nel 1496, ne è oggi l’unico elemento superstite”.

Per questo animatissimo particolare Spinazzola scriveva: “Il molo grande, verso cui tendono le galere, si fa innanzi, col suo gomito, volto ad oriente, come ora, con le sue gradinate digradanti nel mare. Solo pochi anni innanzi, Alfonso ne aveva per l’appunto prolungato il braccio che volge ad oriente, e non era ancora all’angolo di esso la torre della lanterna” ed ancora “due galeoni sono nel porto all’ancora; la tenda è secondo la consuetudine già stesa su una di esse e i portatori già ne trasportano via la merce” La vivacità della raffigurazione del molo ispirò la prosa e la grande cultura di Croce in poche righe che al di là dell’errore d’interpretazione – meritano d’essere rilette: ‘Le galee napoletane, con la bandiera d’Aragona, fanno per ordine del Re corteo ed onore al Magnifico, giunto forse su quella di esse che innalza una bandiera col giglio di Firenze. Alcune barche vanno verso la riva, dove vari personaggi, scendendo per una gradinata o fermi su di essa, attendono l’ospite.

Per la strada del Molo due cavalieri accorrono, preceduti da un gruppo di paggi, anche a cavallo, e tra molti signori. Sono, quei due, il secondogenito di Ferrante, Federico d’Aragona – che quattordicenne, si era legato d’amicizia col diciassettenne Lorenzo, a Pisa, nel 1465, e avevano insieme giovanilmente favellato di poesia, – e il nipote del Re, Ferrantino, principe di Capua: entrambi mandati da Ferrante, obviam, honoris causa” .

Alta sulla città, al centro della Tavola, è la collina sulla cui sommità sono il Belforte angioino e “la bellissima Certosa che vi è come affogata nel verde degli ulivi, dei castagni, dei cipressi in cui si nasconde ed eleva, allora come ora, dimora solitaria della pace” (Spinazzola 1910:139). Fin dal X secolo sulla collina era una cappella dedicata a Sant'Erasmo (il cui nome fu corrotto in Ermo, poi in Elmo); nei pressi risulta documentato dal 1275 – come abitato da familiari di Carlo I – un palatium che re Roberto fece modificare in castello nel 1329 per opera di Francesca di Vito e Tino di Camaino.

Nel 1336 a quest’ultimo – impegnato anche nei lavori della Certosa subentrò Atanasio Primario alla cui morte (1340) successe Balduccio de Bacza; i lavori furono conclusi nel 1343. 

La costruzione della Certosa di San Martino era stata iniziata pochi anni prima, nel 1325, per volontà del figlio di Roberto, Carlo di Calabria, e venne completata sotto Giovanna I nel 1368. Gli architetti impegnati nei lavori furono gli stessi del Belforte e con la stessa successione cronologica. Poco al di sotto della Certosa emerge nel verde il muro che delimita il deserto, un’area di rispetto inedificata che – per regola – circonda tutte le fondazioni dei Certosini.

Il Belforte sarà trasformato nell’attuale Castel Sant’Elmo per volontà del viceré Pedro de Toledo e su progetto di Pedro Luis Escrivà tra il 1538 e il 1547.

Altissima sulle case di Napoli appare la mole di S. Chiara, come d’altronde – e malgrado tutte le trasformazioni della città – è ancora visi-bile da piazza Muni-cipio o dal porto.

La grande chiesa francescana fu eretta tra il 1310 e il 1328 per volere della regina Sancia di Maiorca consorte di Roberto che vi fu sepolto nel 1343.

Nel particolare della Tavola Strozzi vediamo l’alto tetto a spioventi che copre l’enorme unica navata, illuminata da alte monofore, e la piatta parete absidale stretta tra due torri scalari e aperta da tre grandi oculi. Addossato a quest’ultima è il coro delle monache in parte coperto dalla rettilinea fabbrica del monastero.

Ben identificabile, per la sua colloca-zione nella tavola e per l’orientamento, è la grande fabbrica gotica di S. Dome-nico, voluta da Carlo lI ed eretta tra il 1289 e il 1324.

Della chiesa dome-nicana vediamo a sinistra il campanile, il fianco aperto da monofore e l’abside poligonale coperta da una semicalotta che non trova riscontro nella situazione attuale, ma che è in qualche modo visibile ancora nella veduta prospettica di Alesandro Baratta (1629).

Nel 1444, anteriore solo di un ventennio all'av-venimento della nostra tavola, tre erano le porte ‘dal canto della marina’, cui bisogna aggiungere quelle che il descrittore nota quando chiude il circuito della murazione, e altrettante, di fatto, e cioè quattro, ne troviamo indicate nella nostra tavola. Son chiamate, secondo la denominazione più comune eviden-temente accolta in quel documento, Porta di S. Pietro Martire, Porta delle Canile o dei barillari, di S. Andrea e della Marina grande. (Spinazzola 1910:138). Le prime due sono visibili in questo particolare della Tavola Strozzi dove emerge al centro “il grande fabbricato di San Pietro Martire volto ad occidente, e l’alto campanile sorgente su di esso” . Il complesso domenicano venne iniziato sotto Carlo lI nei 1294 e compiuto nel 1343

Da sinistra vediamo S. Lorenzo fondata da Carlo I; il Duomo, costruito tra il 1294 e il 1323, con le torri scalari e una struttura cuspidata in cui può riconoscersi il lanternino, visibile anche nella veduta di Baratta, che concludeva la volta dell’abside; infine la compatta mole di S. Giovanni a Carbonara fondata nel 1343. Il rilievo assunto dalle chiese angioine è un dato emergente nella tavola “Il dipinto che celebra la definitiva vittoria aragonese (...) testimonia così anche del segno profondo che gli Angiò hanno lasciato nella città, da essi fatta capitale del Regno ed abbellita, ingrandita ed organizzata secondo un disegno che ha mantenuto inalterato il suo valore per secoli (... ) Il carattere ‘gotico’, ‘francese’ di Napoli di oggi, ci porta a dire, che "Napoli è dei Francesi, perché loro l’hanno fatta quello ch’ella è".

A sinistra, poco dopo il campanile di San Pietro Martire, si nota nel fitto tessuto edilizio, in cui i tetti a spioventi si mescolano a numerosi lastrici a cielo, un perfetto allineamento delle costruzioni. In esso è probabilmente da leggere un tentativo di raf-figurazione del regolare impianto viario del nucleo urbano di fondazione greca.

A destra, dopo le porte di Sant’Andrea e della Marina grande, “la murazione ‘, usando le parole di Spinazzola, “con il muricino fa un gomito per chiudere dalla parte di mare la piazza del Mercato e il rione ivi formatosi, e proprio a questo punto a destra ed innanzi alla chiesa di S. Maria dwl Carmine, è l’antica porta di S. Giovanni o del Mercato, precisamente al posto dove i documenti anteriori lasciavano supporla, al di qua della via del Lavinaro. Solo ora possiamo precisare il sito, che, pochi anni dopo, nel 1484, fu molto oltre, al di là e dietro alla Chiesa del Carmine” (Spinazzola 1910: 138).

In alto nella tavola, proprio sopra le porte s'intravede un campanile che è da identificare con quello di Sant’Agostino alla Zecca.

La lettura della Tavola Strozzi si conclude con un particolare il-lustrante l’area orien-tale della città in cui si affastellano torri cam-panili e chiese.

In primo piano, oltre le case a ridosso delle mura, le chiese di S. Eligio con il grande arco cavalcavia (enfatizzato nelle di-mensioni, come sarà ancora nella seicentesca veduta Baratta) fondata nel 1270 e di S. Maria del Carmine con “il suo campanile a man dritta, alto anche avanti la costruzione di quello presente” (Spinazzola 1910: 138) fondata da Carlo I. Dietro le chiese, le mura a scarpa e le torri imbandierate di Castel Capuano fondato da Guglielmo I (1154-1166), ed ancora le torri della cinta orientale.